"A casa non s'arriva mai, ma dove confluiscono vie amiche, il mondo per un istante sembra casa nostra" (H.Hesse)

giovedì 23 giugno 2011

Una nonna speciale, lo yoga nell’anima e…scelte assurde che fanno rabbia - La Bandiera (zuppetta fredda di peperoni verdi, pomodori e cipolle)

Io ho avuto una nonna speciale.
Tutte le nonne in realtà sono speciali, depositarie di un sapere magico e antico e di una capacità di penetrare gli animi e anticipare i tempi come solo le persone di grande esperienza e poche parole sanno fare.
La mia però, speciale lo era anche per un’altra ragione e cioè che per buona parte della sua vita si è dovuta adattare a convivere, a causa di un’operazione chirurgica sbagliata, con una tetraparesi spastica che l’aveva minata nel fisico ma per nulla nello spirito.
Era quella che qui da noi, in tempi non sospetti, quando le donne cioè non erano ancora ammesse nell’arma, si chiamava “una carabiniera”, per la determinazione e una cocciutaggine innata con cui affrontava la sua vita, sempre, fino all’ultimo, molto piena di sorprese e non sempre piacevoli. Anzi, diciamo pure quasi mai così piacevoli, a voler proprio essere pignoli.
Lei era anche quella che, anticipando i tempi e la storia, aveva mandato al diavolo un marito, diciamo così “impegnativo”, s’era cresciuta due figli (uno dei quali, la mia mamma, avuto a soli 18 anni) da sola e poi, sistemati loro, aveva trovato un nuovo compagno con cui tornare a guardare al futuro con serenità. Ed è a quel punto che avviene la svolta drammatica: l’operazione sbagliata, la nuova condizione di disabile nel pieno della sua vita di nemmeno 50enne e la scelta coraggiosa (o forse solo dettata dall’amore) di quest’uomo, di continuare comunque, nonostante tutto, la loro storia appena sbocciata. Scelta che non è propriamente la più scontata del mondo, perché un conto è dire, professare tolleranza e solidarietà, tutt’altro conto è viverci, con un disabile, toccarne con mano le difficoltà e i cedimenti, la forza immane e la battaglia quotidiana con sé stessi e con la vita.
Si direbbe così conclusa e assestata su binari stabili e tutto sommato tranquilli un’avventura esistenziale fino a quel momento tutt’altro che facile e agevole. Ma la vita, si sa, riserva sempre grandi sorprese e dopo quasi 30 anni di convivenza, l’uomo, forse stanco, forse solo molto spaventato dallo scorrere inesorabile del tempo e dell’età, decide di lasciarla, di porre fine a quella loro “storia”.
Così, come fosse la cosa più normale del mondo e di fatto, a ben pensarci, lo sarebbe pure, se non fossimo abituati a considerarla “normale” solo entro certi limiti di età.
Ma con 73 primavere alle spalle fa un po’ impressione. E lei, con il suo corpo rigido e sbilenco, si ritrova a dover fare i bagagli e inventarsi una nuova vita, in una nuova casa, lontana da quell’uomo sul quale pure, nonostante tutto, non aveva mai abbattuto la falce del giudizio inappellabile, perché in fondo, diceva “vivere con me non è facile: la malattia stanca”. Come se lei non avesse avuto pari diritto di stancarsi, di scegliere, di avere desideri e di manifestare la disperazione intima che questo abbandono fisico, morale, spirituale, comportava.
Eppure, evidentemente, la parola disperazione non faceva parte del suo vocabolario: indomita e granitica, si rimbocca le maniche e si rimette in marcia sulla strada della vita.
E ci riuscirebbe pure, se dopo soli 3 anni il destino non decidesse di giocarle l’ennesima beffa, regalandogli un ictus che la priva anche della parola. Anche di quella: ultimo baluardo di tante privazioni.
A quel punto dice basta: alza i tacchi, saluta tutti con lo sguardo e molla gli ormeggi, andando via per sempre.
Questa era la mia nonna speciale, che mi ha insegnato a cucire un orlo a dei pantaloni guidandomi solo con le parole, perché con le mani non poteva farlo; che mi rimproverava sempre di non prestare sufficienti cure alle mie unghie fragili e ai miei capelli spenti e opachi, mentre lei teneva tantissimo al suo aspetto fisico, in particolare alle sue bellissime unghie,  fino all’ultimo e nonostante tutto.
Amava giocare a carte (anche barando, se necessario!, perché signori miei: in amore e in guerra tutto è permesso!) e a tombola, dove incurante della possibile impazienza degli altri giocatori, e soprattutto di noi bambini, si prendeva tutti i suoi tempi per inviare i comandi alle mani poco agili, e riuscire così a coprire i numeri con i pezzetti di buccia di mandarino. Ma doveva, pretendeva, di fare da sola!
Come quella volta che per salire sull’aereo aveva rifiutato l’assistenza della compagnia aerea e, peggio che mai, l’uso della sedia a rotelle, e per salire a bordo s’era fatta tutta la scaletta, gradino per gradino, un passo dietro l’altro, seguita dalla coda interminabile degli altri passeggeri che guardavano incuriositi ma tacevano aspettando pazientemente il loro turno….
 Avevo riso sotto i baffi, quella volta lì, pensando che era riuscita a mettere in riga una nutrita lista di persone e pure tutto l’equipaggio che si sperticava e si sdilinquiva per offrirle aiuto.
Perché sì, insieme facemmo un meraviglioso viaggio di un mese in Grecia, come regalo per i miei 18 anni. Lei a trovare la sua amica vissuta tanti anni in Italia e ormai tornata in patria, io felice di accompagnarla e sorpresa di scoprire energie e spirito fanciullesco in due arzille signore di altri tempi (almeno anagraficamente).
E la girammo in lungo e in largo, tra Patrasso e Atene, Delfi e Olimpia, prendendo taxi e traghetti, senza ostacoli mentali, ma tenendo conto solo di quelli fisici e là dove lei non poteva arrivare, proseguivo da sola, lasciandola a prendersi un gelato o un aperitivo al bar con la sua amica.
Posso affermare con certezza che mia nonna è stata la più grande lezione di yoga di tutta la mia vita. Lei, che quando iniziai a praticarlo, un po’ preoccupata e senza la minima idea di cosa potesse essere, mi fece una sentita raccomandazione: “Aò, nun te fa’ convince però dalla religione loro, eh?!”
Una perfetta unione di corpo e mente, con la consapevolezza profonda dei limiti fisici e, in virtù di questa, un’apertura mentale assoluta, senza barriere, condizionamenti, sfide impossibili.
Chi meglio di lei, col suo corpo sbilenco e la mente agilissima, poteva incarnare l’essenza della filosofia yoga?
Una donna arguta e, da buona umbra, con la battuta sempre pronta, capace di leggerti dentro e svuotarti l’anima di pesi e dubbi, anticipando pure quelle confidenze che forse, pensavi, non le avresti mai fatto. Illusa: lei le conosceva già! Perché con lei non potevi barare, era persona limpida e schietta, a volte anche troppo!
A lei ho inevitabilemente pensato, una volta di più, leggendo la rabbia e l’indignazione del post di Federica e facendole mie. Perché se nonna aveva riacquistato un minimo di autonomia dopo essere diventata “un sacco di patate” senza riuscire a comandare più un muscolo, era grazie, oltre che alle innumerevoli operazioni "di aggiustamento" seguite alla prima, soprattutto a quei centri di riabilitazione, come il Santa Lucia, in cui a volte avvengono piccoli, grandi miracoli e che, a maggior ragione per i bambini, sono preziosi e insostituibili.
Vale la pena pensarci molto seriamente (pensare innanzitutto!), prima di prendere certe decisioni.


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Questo piatto (che faceva e amava moltissimo nonna!)  prende il nome dai colori dei suoi ingredienti: il verde dei peperoni, il bianco della cipolla, il rosso dei pomodori.
 E’ buona sia calda sia fredda, ma essendo un piatto prettamente estivo, questa seconda versione raccoglie di solito i maggiori consensi. Una cosa è certa: è uno di quei piatti che più stanno lì, più si insaporiscono! La chiamo zuppetta perché a me piace lasciarla morbida e brodosa, con tanto sughetto in cui inzuppare il pane.

Ingredienti
3-4 peperoni verdi grandi e sodi (oggi io ho usato una decina di friggiteli molto grandi)
1 grossa cipolla bianca
4 pomodori rossi a grappolo
olio extravergine d’oliva
sale
peperoncino

Procedimento
Lavare e mondare i peperoni, togliendo picciolo, semi e filamenti, quindi tagliarli a losanghe e poi a pezzi più o meno regolari (a me piace tagliarli in diagonale..). Sbucciare la cipolla e tagliarla a metà, quindi a fettine sottili. Mettere tutto in una padella dai bordi alti, aggiungere i pomodori tagliati a pezzettini, irrorare d’olio, spolverare di peperoncino, salare e unire mezzo bicchiere d’acqua. Coprire e lasciar cuocere a fuoco dolce per una mezz’oretta. Nel caso in cui dovesse rimanere troppo liquido al termine della cottura, scoprire e alzare la fiamma per un paio di minuti. Servire tiepidi o freddi con pane abbrustolito.

8 commenti:

  1. Mi ha fatto venire i brividi leggere di tua nonna. Una grande donna.

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  2. Dev'essere stata una gran donna la tua nonna..purtroppo la vita ci riserva quasi sempre più cose spiacevoli che piacevoli..io nn ho avuto nonne/i come la tua putroppo..nemmeno le classiche nonne..!!un bacione tesoro

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  3. Da oggi ti seguo anche io...bello il tuo blog!!!

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  4. Tanto di cappello per questa tua nonna così speciale, forte e moderna! Hai goduto davvero di una donna ricchissima che ha saputo vivere la sua vita intensamente, senza farsi mancare nulla, dai viaggi alle passioni...il suo esempio non ti abbandonerà mai! un bacio

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  5. Sei riuscita a commuovermi sai! Dei bellissimi ricordi, la tua nonna dev'essere stata una donna molto forte e determinata... un abbraccio

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  6. Grazie a tutte ragazze: vecchie e nuove arrivate!
    AGATA: grazie infinite, sono contenta! Passerò prestissimo a trovarti anche io!
    MARIFRA: menta e cioccolato!!!ti seguo da tantissimo, mi piacciono molto le tue ricette e ne ho anche realizzate diverse (più tante altre le ho in lista d'attesa!) grazie di essere passata, ne sono strafelice!
    MARIABIANCA: il piacere è davvero tutto mio! Il nome del tuo blog è troppo forte, tutto un programma, verrò presto a spulciarmelo per bene, intanto grazie infinite anche a te della visita

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  7. che storia!!!! che grande donna!!!!
    è stata una grande emozione leggere le tue parole!
    grazieeeee

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